Durante queste prime settimane le maestre della scuola dell’infanzia si ritrovano a vivere le prime giornate in classe dove co-costruire insieme ai bambini e alle bambine una nuova identità di classe.
Per alcuni/e si comincia a maturare la consapevolezza di giocarsi un ruolo differente rispetto all’anno passato.
Termini quali: “grandi”, “mezzani” e “piccoli” assumono significati arbitrari: un bambino chiamato “piccolo” alla scuola dell’infanzia, in un contesto come lo zero sei, si sente “grande” rispetto agli amici del nido, così come un “grande” riflette sul fatto che in alcuni contesti viene considerato dagli adulti ancora un bambino “piccolo”, difendendo quei benevoli privilegi che l’età dell’infanzia a volte garantisce.
Insomma meglio chiamarsi per nome e rimandare a ciascuno la libertà di potersi calare in una, piuttosto che nell’altra categoria, o in entrambe, in base alle circostanze.
Giorno dopo giorno si gusta la piacevolezza di ritrovarsi e di iniziare a conoscere i/le nuovi/e arrivati/e attraverso la dimensione del gioco.
Il gioco che assume una moltitudine di sfaccettature, modalità prediletta con cui i bambini e le bambine scoprono il mondo circostante.
Chi l’avrebbe mai detto che un semplice bastone potesse fungere da mediatore efficace nella relazione? Che dire del fascino di una scoperta condivisa? La meraviglia non ha età, così come il piacere di indagare insieme ciò che genera stupore.
C’ è da vivere anche il piacere di essere aiutati o di mostrare un’abilità a chi si valuta essere titubante. Dietro alla scelta di chiedere: “ti aiuto?” c’e’ un riconoscimento delle proprie competenze ed il desiderio di metterle a disposizione degli altri.
Si creano inoltre situazioni in cui ci si ritrova semplicemente a condividere uno spazio, piuttosto che un gioco ritenuto interessante. Uno sguardo o prolungati silenzi ci raccontano comunque di una relazione. Scegliere di assumere un ruolo attivo e dinamico piuttosto che soffermarsi ad osservare fa parte delle specificità di ciascuno. Tale prerogativa va colta nel qui ed ora, perché con il trascorrere del tempo avrà modo di intrecciarsi con altre modalità di stare nella relazione.